“Aver cura” dell’altro è una prospettiva esistenziale, che va oltre la terapia e oltre l’insegnamento in senso stretto.
La riflessione-provocazione è di un’insegnante delle scuole primarie, Patrizia Sciocco, a partire dalla suggestione offerta da un libro del noto psichiatra Cesare Maria Cornaggia.
«La scienza ci può rendere edotti su ogni sorta di dettagli interessanti circa la natura umana, ma non può risolvere il problema riguardante la natura e l’essenza della condizione umana» (Martin Heidegger).
Ho letto il libro dello psichiatra Cesare Maria Cornaggia dal titolo Dalla parte del desiderio. Da una paternità un metodo nella cura (Inschibboleth, Roma, 2022) e, come chiedo ai miei alunni a scuola dopo la lettura di libri, cioè se consigliarli ai compagni di classe e perché, ora mi metto io in gioco, come ho imparato anche dalla lettura di questo “manuale di vita” in cui il terapeuta non è colui che ha la ricetta, ma è colui che si mette in gioco con il paziente, innanzitutto stimandolo.
Sì, è proprio così: io insegnante, lui psichiatra, abbiamo una formazione universitaria, siamo edotti dalla scienza (cfr. Heidegger), ma questo non basta per prendersi cura di un malato o di un bambino. Ecco cosa fa la diversità: la relazione, uno sguardo sull’altro che lo accoglie e l’accetta così com’è, tant’è che Cornaggia definisce la terapia come «un rapporto che cambia».
Lui lavora nella relazione uno a uno, io sono ogni giorno in classe con i miei bambini e faccio fatica a chiamarli “alunni”, perché troppo impersonale.
In entrambe le situazioni avvengono “miracoli” che ti chiedono tante energie, ma ti fanno tornare a casa con una gioia nel cuore imparagonabile a qualsiasi altra. E questo non solo perché l’altro impara o guarisce, ma perché un Altro te l’ha messo sul tuo cammino – e non è un caso – affinché tu possa dargli un po’ di quella felicità che, anche se con i tuoi limiti, sbagli e peccati, puoi tentativamente trasmettere nella tua relazione, che è “sacra”. E il dare è sempre abbinato a un ricevere, a una scoperta di sé, come spesso Cornaggia ripete in questo suo testo.
Personalmente ho incontrato maestre che hanno “infuso” panico in certi bambini, i cosiddetti più fragili, ma che in realtà sono i più sensibili, i più svegli nella lettura dell’umanità dell’altro. Non mi sono mai arresa di fronte a tali atteggiamenti, come Cornaggia non ha mai “mollato la presa” verso i suoi pazienti.
Caro dottor Cornaggia, siamo insieme nello stesso cammino, sia come persone che come “terapeuti dell’umano”, anche se in ambiti diversi, ma come ben sappiamo la persona è una.
Mai vorrei che un mio bambino arrivasse da lei con qualche mancanza da me causata!
Ecco allora perché vale la pena non solo leggere il suo libro, ma riprenderlo spesso, per “lavorare” innanzitutto su me stessa e di riflesso su quei “piccoli grandi tesori” che Lui mi affida.