Memoria di un viaggio del 2016 nell’Ucraina orientale
Nell’ottobre 2016 mi recai per qualche giorno a Kharkov, Kharkiv in ucraino. Una città bellissima, russofona ma non russofila, nella quale tra la gente che cercava di costruire un proprio destino pacifico giungevano gli echi di un fronte di guerra già attivo da due anni nel Donbass. Vi andai in quei giorni con un popolo di pellegrini: russi, bielorussi, ucraini, italiani, per recare nella cattedrale ortodossa un dono prezioso della diocesi di Milano: erano le reliquie di don Carlo Gnocchi – portate di persona da don Maurizio Rivolta, rettore del santuario a lui dedicato -, “un beato per l’Ucraina”, come lo aveva definito il filosofo Aleksand Filonenko. Don Carlo Gnocchi su quella terra aveva accompagnato da cappellano militare i suoi alpini, a vivere e a morire.
Tornai da quel breve, intenso viaggio, nel quale si era anche celebrato un convegno sulla disabilità, con negli occhi la bellezza di un mondo di frontiera che cercava una propria identità nel prisma delle nazioni d’Europa, dove si respirava il senso della libertà ritrovata dopo la lunga cappa sovietica, dove anche la “comunità volante” – un’altra efficace definizione dell’amico Filonenko – sapeva riunire in un cuor solo e in un’anima sola giovani e adulti, ortodossi e cattolici, convenuti dall’est e dall’ovest con l’unico ideale di testimoniare una rinnovata presenza cristiana in un’Europa concepita con Giovanni Paolo II dall’Atlantico agli Urali.
Tra questi pellegrini vi era padre Mauro Lepori, abate generale dell’Ordine Cistercense, don Francesco Braschi, allora presidente di Russia Cristiana, padre Amvrosij Makar, parroco archimandrita della vivace chiesa ortodossa S. Ambrogio di Milano, Constantin Sigov, filosofo di Kiev, Aleksandr Filonenko, filosofo di Kharkov, il suo amico Franco Nembrini, scrittore ed educatore, Dmitry Strotsev, poeta bielorusso conosciuto anche in Russia, Silvio Cattarina, un uomo che dedica la sua vita a risollevare, come un padre, tanti nostri figli caduti nelle sabbie mobili delle droghe, Irma Missaglia, che con i suoi collaboratori inventa idee sempre nuove per costruire sostegni tecnologici alla vita delle persone disabili, e poi lo splendido coro SAT, giovani universitari che non vogliono lasciar morire la bella tradizione dei canti degli alpini, e tanti altri ancora, più o meno noti, compresi gli educatori i ragazzi disabili di Emmaus. Il convegno aveva per titolo “un cuore più forte della guerra”, e in quell’occasione venne presentata la pubblicazione del “Dolore innocente” di don Carlo Gnocchi, tradotto in ucraino e in russo.
Voglio parlare anche di Katia Klyuzko, Francesca Perrucchini, Anna Carminati e di tutte le altre splendide educatrici e traduttrici del progetto “Figli della Speranza”, attraverso il quale nacque una bellissima collaborazione di Famiglie per l’Accoglienza con gli amici ucraini per offrire un’ospitalità estiva di sollievo nelle famiglie italiane ai bambini e ai ragazzi sfollati con le loro famiglie dal Donbass verso altre città dell’Ucraina. Fu un’esperienza che durò quattro anni, fino alla chiusura del Covid. Poi la guerra.
Ricordo che tornai da quel viaggio con la bellezza negli occhi e nel cuore. Agli amici raccontai di avere visto qualcosa che mi parve essere come fu la prima Chiesa degli Apostoli allo stato nascente. Che ne è ora, di tutto questo?
Simone Weil, nella sua opera teatrale incompiuta “Venezia Salva”, racconta di una congiura seicentesca ordita dagli spagnoli per distruggere Venezia. Ma il cuore di un capo dei congiurati, Jaffier, si mosse a tanta bellezza di quella città, e la congiura fallì. Non c’è stato, nella corte del nuovo zar, né poteva esserci, uno Jaffier che si sia lasciato commuovere dalla bellezza di Kharkiv, ma restano comunque tanti Jaffier sconosciuti dentro al cuore stesso dei popoli d’Europa, dall’Atlantico agli Urali.