Tag: poesia

Mappe #20

La rovina e lo stupore, quasi una preghiera: L’estremo forte degli occhi di Cettina Caliò

Le parole, quando sono misurate, muovono dal respiro e dal battito cardiaco. Lo sa il monaco che con la  ‘preghiera del cuore’ raggiunge l’Irraggiungibile e lo sa Cettina Caliò artefice di una poesia pneumatica in cui la versificazione scarna e la sillabazione franta, che da sempre contraddistinguono la sua scrittura, sono al servizio di una ricerca del respiro – e qui il genitivo è da intendersi tanto come soggetto quanto come oggetto. Non fa eccezione il suo ultimo lavoro, L’estremo forte degli occhi, dove la «magrezza del fiato» della poeta si cala negli abissi della presenza e «nello spavento della durata» (p. 17). Se vogliamo, possiamo intravedervi il filo di una catabasi, uno scandaglio del pneuma-respiro nelle scaturigini del proprio manifestarsi: «il fiato, il mio ha bisogno di indugiare sull’impronta del passo» (p. 18).

Questo “viaggio” di Caliò, forse iniziatico (in un senso che denota un nuovo inizio timidamente crivellato di luce) «attraverso il giorno che / da tutte le parti cade» (p. 29), è un approssimarsi all’esattezza del respiro («Come il fiato esatto dal peso», p. 33) mediante la complicità di una parola che sta «sul ciglio labile del nulla» (p. 35) elevato a prospettiva: «per incredulità mormorare Dio / nel buio schiantato di una stanza // e rintracciare la vita / là dove era da mai / che forte così si respirava» (p. 34). Se di ri-nascita si tratta, il titolo del libro è allora una dichiarazione di resa preliminare agli intenti di poetica: «l’anima crolla / dentro il tuo respiro // nell’estremo forte degli occhi / mai si stanca la sorte di accadere» (p. 36).

Il movimento della poesia di Cettina Caliò, volto a scoprire «del corpo / uno spazio sotterraneo / e disabitato» (p. 39), ha come asse principale questo dentro a cui la realtà esterna sembra aggrapparsi nell’estremità della visione. Il respiro è confine labile che non si lascia tracciare in positivo: «in moltitudini di fiato / imparo per negazione» (p. 49). Difetto, smottamento, crollo: la semantica della “rovina” trova dunque in L’estremo forte degli occhi tutta una declinazione del fallimento del fiato («per poi scoprirci / sfiatati», p. 54) salvo poi accorgersi – in extremis, appunto – che «la stessa bolla d’aria che d’improvviso strozzava il respiro e in spasimi minacciava la vita» (p. 62) è una caduta ma non una disfatta («passa tutto / e resta», p. 70) perché sempre ci è assicurata la possibilità dello «stupor», dello stupore che tramuta lo sfracello in grazia: «In quel poco di vento / ruvido del mio respiro / c’è sempre qualcosa che sei tu // che sempre mi stai pulsante / sulle tempie come perpetuo / avvento» (p. 73).

(Pietro Russo)

Cettina Caliò, L’estremo forte degli occhi, Milano, La nave di Teseo, 2024, pp. 80, € 11,99.

Mappe #16

«La crepa che diventa una soglia». Estranei alla terra di José Tolentino Mendonça

«Coloro che pregano sono mendicanti dell’ultima ora / rovistano a fondo nel vuoto / finché il vuoto / in loro deflagra»: basterebbero questi pochi versi tratti da La strada bianca del cardinale José Tolentino Mendonça per intuire la tensione conoscitiva che percorre tutta la sua poesia, continuamente attraversata da domande radicali sul presente e sulla “terra misteriosa” che abitiamo. Mendonça, teologo e biblista con un’ampia bibliografia di opere di saggistica e spiritualità, esordisce come poeta con la raccolta Os dias contados nel 1990, anno della sua ordinazione sacerdotale, affermandosi presto come una delle voci più importanti e originali della letteratura contemporanea di lingua portoghese. Il collocarsi della sua poesia in una zona di frontiera, su una “crepa che diventa una soglia”, trova il suo più profondo compimento nella figura rivoluzionaria di Gesù, il più umano tra le creature e paradossalmente il più “estraneo” alla terra:

La figura di Gesù provoca in me uno stupore senza fine perché Egli è veramente estraneo alla terra, eppure è il più vicino all’umanità, il più umano tra le creature […] Gesù incarna nel suo stile la potenza del Verbo: sa andare oltre le frontiere, porta in sé una visione più ampia, solitaria e autentica. Controcorrente. In questo senso è davvero poeta: guarda alla realtà dislocando il suo senso in un oltre.

(Davide Brullo, La poesia è una questione di vita o di morte. Dialogo con José Tolentino, «Pangea. Rivista avventuriera di cultura & idee», 25 settembre 2023)

Estranei alla terra, pubblicato nel 2023 per Crocetti e con una prefazione di Alessandro Zaccuri, è appunto il titolo del volume che presenta al lettore italiano, con testo originale in portoghese e traduzione italiana a fronte, due dei libri più rappresentativi di José Tolentino Mendonça, La strada bianca e Teoria della frontiera. Mendonça, la cui poesia segue “le premesse della guerriglia urbana” frequentando spazi solitari e clandestini, luoghi abbandonati e in rovina o terre desolate in cui qualcosa sembra però ancora miracolosamente restare in vita, si affaccia sulla soglia della vita silenziosamente e in una posizione di radicale povertà, come leggiamo in Mani vuote: «Le mani vuote sono un soccorso nei tempi difficili / un affetto al sicuro dagli speculatori / il loro vuoto è una pietra / e a guardar bene galleggia». Così la poesia di José Tolentino Mendonça, inseguendo le tracce e i segni dell’invisibile su questa terra, si pone in una posizione di attesa e completa mendicanza, come il pellegrino che “spazza / i propri pensieri e aspetta”, guardando il vetro della sua finestra farsi improvvisamente trasparente. E, come leggiamo in Il papavero e il monaco, raccolta di haiku scaturita dall’esperienza di un viaggio in Giappone e dopo la lettura del Book of Haikus di Kerouac, con l’umile convinzione che «Adorare / è sorprendere Dio / nella più piccola briciola».

(Massimiliano Mandorlo)

José Tolentino Mendonça, Estranei alla terra, traduzione di Teresa Bartolomei; prefazione di Alessandro Zaccuri, Milano, Crocetti, 2023, pp. 181, € 17. 

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