Nella pagina ufficiale Facebook di Mario Calabresi e nel suo Blog “Altrestorie” una bella intervista al soldato Nikita e a sua moglie, che ci restituisce la vita quotidiana di una giovane famiglia ucraina travolta dalla guerra.
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Memoria di un viaggio del 2016 nell’Ucraina orientale
Nell’ottobre 2016 mi recai per qualche giorno a Kharkov, Kharkiv in ucraino. Una città bellissima, russofona ma non russofila, nella quale tra la gente che cercava di costruire un proprio destino pacifico giungevano gli echi di un fronte di guerra già attivo da due anni nel Donbass. Vi andai in quei giorni con un popolo di pellegrini: russi, bielorussi, ucraini, italiani, per recare nella cattedrale ortodossa un dono prezioso della diocesi di Milano: erano le reliquie di don Carlo Gnocchi – portate di persona da don Maurizio Rivolta, rettore del santuario a lui dedicato -, “un beato per l’Ucraina”, come lo aveva definito il filosofo Aleksand Filonenko. Don Carlo Gnocchi su quella terra aveva accompagnato da cappellano militare i suoi alpini, a vivere e a morire.
Tornai da quel breve, intenso viaggio, nel quale si era anche celebrato un convegno sulla disabilità, con negli occhi la bellezza di un mondo di frontiera che cercava una propria identità nel prisma delle nazioni d’Europa, dove si respirava il senso della libertà ritrovata dopo la lunga cappa sovietica, dove anche la “comunità volante” – un’altra efficace definizione dell’amico Filonenko – sapeva riunire in un cuor solo e in un’anima sola giovani e adulti, ortodossi e cattolici, convenuti dall’est e dall’ovest con l’unico ideale di testimoniare una rinnovata presenza cristiana in un’Europa concepita con Giovanni Paolo II dall’Atlantico agli Urali.
Tra questi pellegrini vi era padre Mauro Lepori, abate generale dell’Ordine Cistercense, don Francesco Braschi, allora presidente di Russia Cristiana, padre Amvrosij Makar, parroco archimandrita della vivace chiesa ortodossa S. Ambrogio di Milano, Constantin Sigov, filosofo di Kiev, Aleksandr Filonenko, filosofo di Kharkov, il suo amico Franco Nembrini, scrittore ed educatore, Dmitry Strotsev, poeta bielorusso conosciuto anche in Russia, Silvio Cattarina, un uomo che dedica la sua vita a risollevare, come un padre, tanti nostri figli caduti nelle sabbie mobili delle droghe, Irma Missaglia, che con i suoi collaboratori inventa idee sempre nuove per costruire sostegni tecnologici alla vita delle persone disabili, e poi lo splendido coro SAT, giovani universitari che non vogliono lasciar morire la bella tradizione dei canti degli alpini, e tanti altri ancora, più o meno noti, compresi gli educatori i ragazzi disabili di Emmaus. Il convegno aveva per titolo “un cuore più forte della guerra”, e in quell’occasione venne presentata la pubblicazione del “Dolore innocente” di don Carlo Gnocchi, tradotto in ucraino e in russo.
Voglio parlare anche di Katia Klyuzko, Francesca Perrucchini, Anna Carminati e di tutte le altre splendide educatrici e traduttrici del progetto “Figli della Speranza”, attraverso il quale nacque una bellissima collaborazione di Famiglie per l’Accoglienza con gli amici ucraini per offrire un’ospitalità estiva di sollievo nelle famiglie italiane ai bambini e ai ragazzi sfollati con le loro famiglie dal Donbass verso altre città dell’Ucraina. Fu un’esperienza che durò quattro anni, fino alla chiusura del Covid. Poi la guerra.
Ricordo che tornai da quel viaggio con la bellezza negli occhi e nel cuore. Agli amici raccontai di avere visto qualcosa che mi parve essere come fu la prima Chiesa degli Apostoli allo stato nascente. Che ne è ora, di tutto questo?
Simone Weil, nella sua opera teatrale incompiuta “Venezia Salva”, racconta di una congiura seicentesca ordita dagli spagnoli per distruggere Venezia. Ma il cuore di un capo dei congiurati, Jaffier, si mosse a tanta bellezza di quella città, e la congiura fallì. Non c’è stato, nella corte del nuovo zar, né poteva esserci, uno Jaffier che si sia lasciato commuovere dalla bellezza di Kharkiv, ma restano comunque tanti Jaffier sconosciuti dentro al cuore stesso dei popoli d’Europa, dall’Atlantico agli Urali.
Proseguono le testimonianze sul primo anno di guerra affidate alla rivista “La Nuova Europa”. Svetlana Panič, una russa espatriata, riflette sul significato più profondo della parola “speranza” e sul senso del tempo, apparentemente schiacciato ormai solo sul presente: “Oggi per me lo spartiacque invalicabile passa fra chi ritiene che esista una ragione ‘di Stato’, metafisica o comunque superiore per cui si possa invadere la terra altrui e uccidere i suoi abitanti, e chi pensa che la guerra sia un male assoluto e indiscutibile. È cambiata la concezione stessa della parola ‘nostri’, che non si riferisce solo a quelli con cui condividiamo il modo di pensare e ‘le citazioni’, ma soprattutto a coloro con cui puoi stare insieme dentro una comune speranza”. Andrej Desnickij, espatriato a Vilnius, parla del tradimento dei chierici e di una nuova speranza per il futuro: “La guerra è la tragedia della separazione. Ma anche una possibilità di incontri”. Il filosofo Massimo Borghesi lancia il suo grido di dolore per una guerra fortemente voluta da Putin e strisciata per otto anni nel colpevole silenzio delle diplomazie internazionali, che non lascia intravedere al momento alcuna via d’uscita. L’Europa sembra così sempre più spettatrice impotente: “Oggi ‘la guerra in Ucraina è sulla scala strategica del mondo scontro fra Russia e Stati Uniti d’America’ (Caracciolo), non primariamente guerra tra Europa e Russia. L’Europa è divisa, dilaniata essa stessa al suo interno, sulle misure da adottare. Succube del grande gioco. Impotente, perciò, a mediare, a indicare soluzioni. Questa è la vera tragedia nella tragedia: essere spettatori di una guerra e non essere in grado di intravedere soluzioni che possano porvi fine”. Infine, l’archimandrita ortodosso Kirill Hovorun, ucraino, denuncia la contraddittoria ideologia “Cristo-fascista” putiniana che da ben prima del 2014 aveva prearato la guerra all’Ucraina: “L’ideologia del ‘mondo russo’ estrapola l’idea della purezza della fede applicandola al piano socio-politico e inscrive sui suoi vessilli slogan di lotta per ‘i valori tradizionali’ contro il presunto Occidente moralmente corrotto”.
“Un anno che ci ha cambiato” – 2, in “La nuova Europa”, 24 febbraio 2023
A un anno esatto dall’inizio dell’aggressione putiniana all’intera Ucraina e dopo otto anni dall’inizio del conflitto di frontiera nel Donbass, il fatto davvero stupefacente è che l’Ucraina, oggi, ancora resiste. Certamente resiste l’esercito, sostenuto dall’Occidente, ma innanzitutto resiste il popolo ucraino, che ha mostrato un coraggio e una volontà di tenuta su cui nessuno, un anno fa, avrebbe scommesso. La rivista “La nuova Europa”, che in questo anno di guerra ha sempre offerto uno sguardo originale al di là dei calcoli politici, pubblica una riflessione a più voci: padre Mauro Lepori, abate generale dell’Ordine Cistercense, e Elena Zemkova, dissidente russa esponente di “Memorial”, ci testimoniano l’attenzione all’umano e la resistenza morale; l’ex ministro agli esteri Mario Mauro suggerisce un punto di osservazione storico-politico: “La vera sorpresa di questa guerra è nella reazione del popolo ucraino”; infine il poeta dissidente bielorusso Dmitrij Strocev documenta una resistenza culturale e umana dinanzi ad una guerra pianificata ben prima dell’aggressione russa per interposta persona al Donbass nel 2014.
Russia-Ucraina: un anno che ci ha cambiato – 1 , in “La nuova Europa, 22 febbraio 2023.